Niccolò Machiavelli - Opera Omnia >>  Parole da dirle sopra la provisione del danaio




 

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PAROLE DA DIRLE SOPRA LA PROVISIONE DEL DANAIO,
 
FATTO UN POCO DI PROEMIO E DI SCUSA

 
 
Tutte le città le quali mai per alcun tempo si sono governate per principe soluto, per ottimati o per populo, come si governa questa, hanno auto per defensione loro le forze mescolate con la prudenzia; perché questa non basta sola, e quelle o non conducono le cose o, condutte, non le mantengano. Sono dunque queste due cose el nervo di tutte le signorie che furno o che saranno mai al mondo: e chi ha osservato le mutazioni de' regni, le ruine delle provincie e delle citta, non le ha vedute causare da altro che dal mancamento delle armi o del senno. Dato che le Prestanze vostre mi concedino questo essere vero, come egli è, seguita di necessità che voi vogliate che nella vostra città sia l'una e l'altra di queste dua cose, e che voi ricerchiate bene se le ci sono, per mantenerle e, se le non ci sono, per provederle.

E veramente io, da dua mesi indrieto, sono stato in buona spe­ranza che voi tendiate a questo fine; ma veduto poi tanta durezza vostra, resto tutto sbigottito. E vedendo che voi potete intendere e vedere, perché voi non intendete né vedete quello di che, non che altro, si maravigliano e nimici vostri, mi persuado che Iddio non ci abbi ancora gastigati a suo modo, e che ci riserbi a maggior fragello. La cagione che da dua mesi indreto mi faceva stare in buona spe­ranza, era lo esemplo che voi avevi avuto per il periculo corso pochi mesi sono, e l'ordine che dopo quello avevi preso: perché io vidi come, perduto Arezzo e le altre terre, e dipoi recuperate, voi desti capo alla città; e credetti voi avessi conosciuto che, per non ci essere né forze né prudenza, avevi portato quello periculo: e stimai, come voi avevi dato qualche luogo alla prudenza per virtù di questo capo, dovesti ancora dare luogo alla forza. Credettono questo medesimo e nostri eccelsi signori: credernolo tutti quegli cittadini che si sono tante volte affaticati invano per mettervi un provvedimento innanzi. Né voglio disputare se questo che corre ora è buono o no, perché io ne presto fede a chi vi si è trovato ad ordinarlo e a chi dipoi lo ha approvato. Desiderrei bene che ancora voi fussi della medesima opi­nione e ne prestassi fede a chi vi dice che gli è necessario.

E di nuovo vi replico che sanza forze le città non si mantengono, ma vengono al fine loro. El fine è o per desolazione o per servitù: voi sete stati presso, questo anno, a l'uno e a l'altro; e vi ritornerete, se non mutate sentenzia. Io ve lo protesto; non dite poi: «E' non mi fu detto!» E se voi rispondessi: «Che ci bisognono forze? noi siamo in protezione del re! e nimici nostri sono spenti! el Valentino non ha cagione d'offenderci!», vi si risponde tale opinione non potere più temeraria, perché ogni città, ogni stato, debbe reputare inimici tutti coloro che possono sperare di poterle occupare el suo, e da chi lei non si può difendere. Né fu mai ne signoria né republica savia, che volessi tenere lo stato suo a discrezione d'altri o che, te­nendolo, gliene paressi aver securo.

Non ci inganniamo a partito; esaminiamo un poco, bene, e casi nostri; e cominciamo a guardarci in seno: voi vi troverrete disar­mati, vedrete e sudditi vostri sanza fede; e ne avete, pochi mesi sono, fatta la esperienza: ed è ragionevole che sia così, perché gli uomini non possono e non debbono essere fedeli servi di quello signore da el quale e' non possono essere né difesi ne corretti. Come voi gli avete possuti o possete correggere, lo sa Pistoia, Romagna, Barga; e quali luoghi sono diventati nidi e ricettaculi d'ogni qualità di latrocinii. Come voi gli avete possuti defendere, lo sanno tutti quegli luoghi che sono stati assaltati. Né vi veggendo ora più ad ordine che vi siate stati per lo addrieto, dovete credere che non hanno mutato né opinione né animo. Né gli possete chiamare vostri sudditi, ma di coloro che sieno e primi ad assaltarli.

Uscitevi ora di casa e considerate chi voi avete intorno: voi vi troverrete in mezzo di dua o di tre città che desiderano più la vostra morte che la lor vita. Andate più là, uscite di Toscana e considerate tutta Italia: voi la vedrete girare sotto el re di Francia, Viniziani, papa e Valentino. Cominciate a considerare el re. Qui bisogna dire el vero, ed io lo vo' fare. Costui o e' non arà altro impedimento o rispetto che 'l vostro in Italia, e qui non è rimedio, perché tutte le forze, tutti i provedimenti, non vi salverieno; o egli arà degli altri impedimenti, come si vede che gli ha, e qui fia rimedio o non rimedio, secondo che voi vorrete o non vorrete. Ed el rimedio è fare d'esser in tale ordine di forze, che gli abbi in ogni sua deliberazione ad avere rispetto a voi come agli altri di Italia, e nan dare animo, con lo stare disarmati, ad uno potente, di chiedervi ad el re in preda; né dare occasione ad el re che vi abbi a lasciare fra e perduti, ma fare in modo che vi abbi a stimare, né altri abbi opinione di subiugarvi. Considerate ora e Viniziani. Qui non bisogna affaticarsi molto: ogni uomo sa l'ambizione loro, e che debbono avere da voi cento ottanta­mila ducati e che gli aspettono tempo, e che gli è meglio spendergli per fare loro guerra che dargli loro perché vi offendino con essi. Passiamo al papa e al duca suo. Questa parte non ha bisogno di comento: ogni uomo sa la natura e l'appetito loro quale e' sia, e el proceder loro come gli è fatto, e che fede si può dare o ricevere. Dirò sol questo, che non si è concluso con loro ancora appuntamento alcuno; e dirò più là, che non è rimaso per noi. Ma poniamo che si concludessi domani; io vi ho detto che quelli si­gnori vi fieno amici che non vi potranno offendere, e di nuovo ve 'l dico: perché fra gli uomini privati le leggi, le scritte, e patti fanno osservare la fede, e fra e signori la fanno solo osservare l'armi. E se voi dicessi: «Noi ricorreremo ad el re»; e' mi pare anche avervi detto questo, che tuttavia el re non sia in attitudine a difendervi, perché tuttavia non sono quelli medesimi tempi; né sempre si può metter mano in su la spada d'altri, e però è bene averla a lato e cigner­sela quando el nimico è discosto, ché altri non è poi a tempo e non truova rimedio.

E' si debbe molti di voi ricordare quando Gonstantinopoli fu preso dal Turco. Quello imperadore previde la sua ruina. Chiamò i suoi cittadini, non potendo con le sue armate ordinarie provedersi; espose loro e periculi, monstrò loro e rimedii; e se ne feciono beffe. La ossedione venne. Quelli cittadini, che aveno prima poco stimato e ricordi del loro signore, come sentirno sonare le artiglierie nelle lor mura e fremer lo esercito de' nimici, corsono piangendo allo 'mperadore con grembi pieni di danari; e quali lui cacciò via, dicendo: «Andate a morire con cotesti danari, poi che voi non avete voluto vivere sanza essi». Ma non bisogna che io vadia in Grecia per li esempli, avendogli in Firenze. Di settembre nel 500 el Valentino partì con gli eserciti suoi da Roma; né si sapeva se doveva passare in Toscana o in Romagna: stette sospesa tutta questa città, per trovarsi sprovista, e ciascuno pregava Dio che ci dessi tempo: ma come e' ci mostrò le spalle per alla volta di Pesero, e ch'e' periculi non si viddono presenti, si entrò in una confidenza temeraria: di modo che non si possé mai persuadervi a vincere alcuno provedimento; ne mancò che non vi fossi posto innanzi, e così ricordati e predetti tutti e pericoli che di poi vennono, e quali voi ostinati non credesti; infìno a tanto che in questo luogo ragunati a' 26 d'aprile lo anno 501 sentisti la perdita di Faenza e vedesti le lacrime del vostro gonfaloniere, che pianse sopra la incredulità e durezza vostra, e vi constrinse ad avere compas­sione di voi medesimi.

Né fusti a tempo, perché dove, avendolo vinto innanzi sei mesi, se ne sarebbe fatto frutto, vincendolo sei dì innanzi, possé operare poco per la salute vostra. Perché a' quattro dì di maggio voi sentisti a Firenzuola essere lo esercito inimico: trovossi in confusione la città; cominciasti a sentire e meriti della durezza vostra; vedesti ardere le vostre case, predare la roba, ammazzare e vostri sudditi, menarli pri­gioni, violare le vostre donne, dare el guasto alle possessioni vostre, sanza posservi fare alcun rimedio. E coloro che sei mesi innanzi non aven voluto concorrere a pagare venti ducati, ne fu tolti loro duecento, ed e venti pagorno in ogni modo. E quando voi ne dovevi accusare la incredulità ed ostinazione vostra, voi ne accusavi la malizia de' cittadini e ambizione degli ottimati: come coloro che, errando sem­pre, non vorresti mai avere errato, e quando vedete el sole, non credete mai che gli abbia a piovere. Come interviene ora. E non pensate che in otto giorni el Valentino può essere con lo esercito in sul vostro, e Viniziani in dua giorni: non considerate che el re è appic­cato co' Svizzeri in Lombardia; non considerate che non ha ancor ferme le cose sue né con la Magna né con la Spagna, e che gli è al di sotto nel Reame. Non vedete la debolezza vostra a stare così, né la variazione della fortuna.

Gli altri sogliono diventare savi per li periculi de' vicini; voi non rinsavite per gli vostri, né prestate fede a voi medesimi, né cono­scete el tempo che voi perdete e che voi avete perduto. El quale voi piangerte ancora, e sanza frutto, se non vi mutate di opinione. Perché io vi dico che la fortuna non muta sentenzia, dove non si muta ordine; né e cieli vogliono o possono sostenere una cosa che voglia ruinare ad ogni modo. Il che io non posso credere che sia, veggendovi Fiorentini liberi, ed essere nelle mani vostre la vostra libertà. Alla quale credo che voi arete quelli respetti che ha auto sempre chi è nato libero e desidera viver libero.

EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Opere di Niccolò Machiavelli", a cura di Ezio Raimondi, Ugo Mursia editore, Milano, 1966







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